In questi giorni sto leggendo di social marketing, diciamo che per ora l’impressione è quella di avere a che fare con grandi scoperte dell’acqua calda, ma desidero condividere un consiglio in particolare su cui si soffermano tutti: la divulgazione di un messaggio. Che per arrivare, spiegano, deve sapersi distinguere in qualche modo. Strana richiesta in un’epoca in cui, nel bene e nel male, le differenze si stanno assottigliando (leggi globalizzazione).
Ma ieri mio nipote è riuscito a stupirmi. Ricevendo un complimento per la sua pelle liscia (ha quattordici anni e per sua fortuna non subisce il supplizio dell’acne), ha risposto che no, non è affatto contento di non avere i brufoli, sono brutti, questo non lo nega, ma secondo lui sono anche un segno che identifica i ragazzi più grandi.
Io ho avuto i brufoli e mi sarei fatta tagliare un dito per non averli, credevo che il comune pensiero andasse in quella direzione e invece evidentemente sbagliavo.
Perché dovrebbe essere molto personale il senso di ciò che è bello, solo che a volte lo si dimentica, dopo anni di rumori di fondo, tendiamo a far prevalere in noi una sorta di gusto omologato. Un po’ come accade con la risata finta dietro ai telefilm, non la senti quasi, ma in qualche modo regola il ritmo al tuo senso dell’umorismo.
Poco dopo, all’Autogrill, mi ha guardata un po’ perplesso e sottovoce mi ha esposto il suo dubbio: perché il panino con il salame doc costa più del Camogli, che è anche il mio preferito?!
Se ci ricordassimo più spesso di ciò che ci piace veramente, invece di farci stordire dai rumori di fondo che ci indicano cosa è bello, forse saremmo più liberi di scegliere, e magari anche spendere meno.
Oggi posso asserire, senza falsa modestia, di aver fatto anch’io la mia scoperta dell’acqua calda, sia che si tratti di customers che di companies, la regola numero uno resta la stessa: pensare fuori dal coro!