Una immagine vale più di mille parole, perché le immagini sono prima di tutto un linguaggio.
L’uomo ha iniziato a comunicare disegnando graffiti sulle pareti delle grotte 35.000 anni fa, mentre il primo alfabeto risale al 2.000 avanti cristo.
Questo significa che per un lunghissimo tempo i disegni sono stati sufficienti all’uomo per raccontare e raccontarsi.
Oggi la fotografia sta vivendo un momento di splendore.
Facilità di condivisione e costi bassi ci hanno portati dove nessun MMS avrebbe mai immaginato di arrivare: siamo tornati a comunicare per immagini:
– dove sei? scrive la mamma a Mario su whatsapp (ma anche la mia a me e io a lei)
– [foto del posto] è spesso la risposta.
Treccani definisce così il fotografo: chi esegue fotografie sia professionalmente (per conto proprio o al servizio di giornali, periodici, attività varie); sia occasionalmente.
Quindi, all’occasione, siamo tutti fotografi. Anche perché per scattare una fotografia, non quella che leggiamo sulle riviste o nelle mostre, ma quella dei numeri importanti, non bisogna nemmeno conoscere la tecnica: ISO, diaframma, tempi, sono termini del passato (so che qualche Fotografo avrà da ridire, amen).
Però non facciamoci ingannare da tanta immediatezza, pur se possiamo ignorare la tecnica per produrre un’immagine, per essere compresi è comunque necessario seguire alcune regole: anche le fotografie hanno una grammatica.
– dove sei? chiede la mamma Marco
e se [foto del posto] sarà la risposta, allora dovrà essere precisa, ovvero indicare il luogo in maniera riconoscibile: tazzine di caffè su un tavolo (al bar), un cruscotto (in macchina, anche se sarebbe meglio non farlo), computer su scrivania (in ufficio), e così via.
Se la costruzione di una frase prevede un soggetto, un predicato e un complemento, che non è obbligatorio ma aiuta nel racconto. Così la fotografia non può prescindere da queste regole se vuole comunicare.
Marco (soggetto) è (predicato) al bar (complemento).
Nel caso delle tazzine, Marco non è nell’immagine (il soggetto è sottinteso), se si fosse fatto un autoscatto, avremmo visto il suo faccione all’interno del bar.
Se il faccione non ci avesse permesso di vedere il contesto, la foto avrebbe avuto solo il soggetto: Marco, al limite il predicato, che si scatta una fotografia. Ma non avrebbe risposto alla domanda della mamma: dove sei?, quindi non sarebbe servita a nulla.
Questa regola di costruzione vale per qualsiasi cosa decidiate di fotografare: una chiesa di campagna, dei bimbi a una festa di compleanno o l’onda che si infrange sui piedi di Marco, sono tutti soggetti che compiono (o subiscono) un’azione.
Anche i paesaggi raccontano, l’Infinito di Leopardi è immobile, ma raccontalo tu l’infinito.
Ogni volta che scattiamo una fotografia stiamo scrivendo con la luce invece che con l’inchiostro (inchiostro si fa per dire).
E, quando scriviamo qualcosa a qualcuno (comunichiamo), non digitiamo delle parole a caso sulla tastiera sperando che miracolosamente assumano il significato (non un significato), ché se vogliamo essere compresi ci tocca pensare prima di scrivere.
Ma quanti pensano prima di scattare una fotografia?
PS parlerò di questo a Imperia il 26 febbraio da Canna e Ramella, le iscrizioni sono ancora aperte!